Il deragliamento

Il tram ha interrotto la sua corsa e non è arrivato a destinazione. Erano in troppi a voler salire nella  carrozza di testa, quella del manovratore. Cinque dei sedici componenti  del personale viaggiante, responsabili della corsa, insoddisfatti, hanno abbandonato il convoglio.  Quelli che erano saliti in corsa sul tram ad inizio corsa ed a Villa Elisabetta non hanno trovato la giusta collocazione in seno al Consiglio di Amministrazione tramviario. C’erano troppi aspiranti capitreno. Si sospetta che sia fallito il vecchio sistema del “do ut des”. Colpisce  soprattutto la vaghezza delle motivazioni del dissenso dei cinque: “Siamo soddisfatti dell’accaduto”, “Abbiamo liberato la città, non si poteva più andare avanti così”, “La dignità non ha prezzo”. Sembra. Invece, motivata la defezione di un sostenitore della maggioranza della prima ora che denuncia al prefetto lo scempio edilizio in atto. Gli altri quattro si affidano a slogan.  Il solito vaniloquio che non spiega il vero motivo dell’abbandono del convoglio.

Ora tutti si apprestano a mettere sui binari un nuovo tram. Si lavorerà  in economia e sarà necessario utilizzare anche le parti logore, debitamente  revisionate.  Le ditte invitate sono sempre le stesse. Qualcuna nuova di zecca. Altre hanno cambiato il nome ma non la mission: MpA, API, PDL, PD, UDC, ecc.  E’ una gara aperta. Il pool di ditte o le singole ditte presentano i loro progetti cartacei. Ora bisogna trovare i capimastri, quelli che lavorano alla costruzione dei pezzi da assemblare: il motore, le carrozze, le ruote ecc. Ogni ditta concorrente cerca di ingaggiare i migliori capimastri o di strapparli all’avversario. Quelli che hanno molti operai alle loro dipendenze. Gente che obbedisce alle direttive senza fare domande in cambio della promessa di una migliore sistemazione sociale. I capimastri e gli operai impegnati nel montaggio che risulteranno vincitori avranno la soddisfazione e l’orgoglio di vedere premiato il loro prodotto. Dovrà durare almeno 5 anni. Quelli che l’hanno commissionato ne sono certi. Ma non si sa mai. L’incidente è dietro l’angolo. E’ pur sempre un mezzo meccanico bisognoso di periodiche revisioni ed aggiusti. In ditta c’è sempre qualcuno disposto a fare  le riparazioni ed a far ripartire il tram. Le anime buone e disinteressate abbondano.

Dopo l’8 maggio ci sarà il collaudo. L’inaugurazione con tutti gli esponenti delle ditte vincitrici a bordo avverrà presumibilmente dopo il 22 maggio davanti ad una folla plaudente e festante.  Maggio. Il mese delle rose e dei profumi primaverili. E’ di buon auspicio. Si colgono i primi frutti.  Il prefetto, informato della disgrazia, ha subito provveduto a sostituire il tram a tre carrozze con una navetta. Non si può stare senza mezzo di trasporto a lungo.  A guidarla, sarà una donna. E’ armata di scudiscio e lo userà per impedire a chiunque di salire in corsa. E’ un omaggio del Prefetto al gentil sesso visto l’approssimarsi della loro festa  e della recente manifestazione dell’orgoglio femminile. Un riconoscimento dovuto. Si dovrà cimentare con gravi problemi: il concorso dei nuovi vigili urbani, i grattacapi che la scuola di Casoria dà  da decenni, il PUC e chissà cos’altro.

Le succederà il manovratore del tram maggiolino portato alla vittoria dai capimastri e dagli operai ingaggiati. Si sceglierà i collaboratori, (compagni di cordata permettendo), ed inizierà il suo viaggio nella speranza che raggiungerà il capolinea senza ammaccature.

Il vecchio Arturo, quello  caduto dalla corda dopo tre anni di acrobazie, ha promesso che si ricandiderà come manovratore anche a maggio, sebbene claudicante e con le stampelle. Se non lui, chi sarà il nuovo Arturo? E’ un quiz da Millionaire.

Il vecchio tram della politica  casoriana

Da ragazzo, appena 14enne, alle 7,30 prendevo il tram in piazza Cirillo e ne scendevo al Tiro a Segno per recarmi al Garibaldi, il liceo degli studenti pendolari. Talvolta arrivavo in piazza mentre il tram si era già avviato e di solito, i ritardatari come me, lo prendevano in corsa. Qualcuno ci ha rimesso la pelle. Qualcuno le gambe. A me è andata bene! Questa immagine mi è balzata nitida alla mente nel leggere su “Casoria Due” alcuni articoli sull’apolitica casoriana paragonabile, a mio avviso, al percorso del vecchio tram delle 7,30. Le tre vetture, cariche di passeggeri, provenivano da Afragola o da Caivano ed a Casoria a stento si riusciva a salire, tanto che qualcuno viaggiava sullo “predellino” aggrappato al cancelletto.

Il tram dell’apolitica di questa città, all’indomani delle ultime elezioni, ha un manovratore e 14 esperti ma non è in grado di partire perché le ruote slittano sulle rotaie. “ ’o tramme à pigliate ‘e lisce”. Ma in aiuto del manovratore giungono inattesi,  due esperti ferrovieri che riescono a farlo partire con un po’ di sabbia sparsa sulle rotaie. Un terzo esperto, avuto sentore delle difficoltà del manovratore, si appresta a dare una mano. E’ un po’ in ritardo e rincorre le tre vetture. Non riuscendo a balzare sull’ultimo predellino, cosa fa? Si attacca alla leva dello sfiato dei freni. Il tram si ferma. Sale il terzo esperto. Ora gli esperti sono 17. Il tram allaccia, come noi solevamo dire, cioè corre a più non posso. A Villa Elisabetta si ferma per il rito del bastone. In alcuni tratti il binario è unico e bisogna accertarsi che una sbarra di ferro, il bastone, sia  stata infilata in un tubo a testimonianza che il tram proveniente da Napoli è passato e che quindi l’unico binario di quel tratto è sgombro. Non c’è pericolo di scontro frontale. La notizia dell’arrivo dei tre esperti che hanno permesso la partenza del tram si diffonde in un battibaleno. Altri due o tre esperti decidono di aggregarsi ai 17. Essi sanno che il tram è costretto a fermarsi in quel punto e ne attendono il passaggio. Montano in carrozza. Ora sono circa 20, uno più, uno meno.  Ad un certo punto, tra lo sbigottimento di tutti i passeggeri, gli ultimi arrivati cominciano a contestare il comportamento dei tre bigliettai e del capo del convoglio, quello dell’ultima carrozza, pronto a suonare la tromba per fermare il tram in caso di pericolo. “Non hanno fatto i biglietti a tutti”, strillano. A questi ultimi se ne aggiungono altri. Si forma un nutrito gruppo di esperti che minaccia di staccare il trolley dell’alimentazione elettrica e di scendere dal tram. “Bisogna cambiare bigliettai e capo-convoglio”, gridano. “Sono degli incapaci”, urlano, minacciando di fermare il tram. Qualche esperto scende in corsa. Qualcun altro sale in corsa. In apolitica è un saliscendi continuo. Non c’è pericolo di rimetterci la vita o le gambe. Tutt’al più sono i viaggiatori a rischiare. Ora le tre vetture sono ferme in piazza Di Vittorio. Si parlamenta. Si cerca un accordo. Chi dei bigliettai mandar via? E’ meglio sostituire solo il capoconvoglio? Nell’attesa il manovratore vorrebbe ripartire. Ma si trova davanti ad un bivio: prendere per la Doganella o per Capodichino? Avrà sufficiente energia (elettrica) per giungere alla meta? Se scende per Capodichino potrà giungere a Piazza Ottocalli anche senza corrente. E se i freni non reggono per la ripida discesa? Rischia di sfracellarsi con esperti, personale viaggiante e ignari passeggeri contro il ponte del Tiro a Segno. Può andare per la Doganella, ma gli serve la corrente e, se le richieste dei numerosi esperti contestatori non saranno adeguatamente soddisfatte, addio al trolley. Povero manovratore! Non vorrei trovarmi nei suoi panni. E’ una storia arcinota. Si ripete dagli albori della Prima  repubblica.   

 

 

 

                                 Migrazione politica   

La migrazione è un fenomeno naturale che riguarda il mondo animale. L’impulso che spinge gli animali a lasciare i luoghi in cui normalmente vivono è il bisogno di trovare siti più accoglienti  per la riproduzione della propria specie o più ricchi di cibo. Così i ruminanti africani si spostano in determinati mesi dell’anno da un punto all’altro del continente per raggiungere pascoli nuovi; un particolare tipo di farfalla migra dal Canada verso gli Stati Uniti; le balene si spostano per migliaia di km per riprodursi; le rondini ed i falchi pellegrini lasciano l’Africa per la più fresca Europa: i minuscoli pettirossi scendono dal nordeuropea fino in Italia e Spagna. Sono tutte migrazioni incruente. Pacifiche. Motivate. Anche gli uomini fin dall’antichità hanno praticato e praticano la migrazione. Il bisogno di trovare zone più ricche di selvaggina, più fertili o il desiderio di impadronirsi delle ricchezze di altri popoli ha spinto in passato gruppi etnici, tribù o popoli a spostarsi con carri, masserizie ed armi in territori anche lontani dal loro luogo di origine ingaggiando aspre lotte con gli aborigeni o con gli invasori che li hanno preceduti. Attualmente il flusso migratorio umano interessa in particolare l’Italia, meta di diseredati e di derelitti che affrontano i rischi di una traversata in cui molti di loro trovano la morte. In tempi meno recenti molti italiani abbandonarono la patria per le Americhe esportando non solo laboriosità e cultura ma anche mafia e camorra. “Nihil sub sole novi”, sentenziavano i saggi latini. Talvolta la migrazione non è frutto di bisogno o di avidità ma solo ricerca del nuovo, dell’ignoto, dell’avventura. Sarà questo uno dei motivi che spinge alla migrazione politica? Ne dubitiamo! Da sempre in Italia a livello nazionale, regionale, provinciale e comunale si verificano salti della quaglia che insospettiscono l’elettore che ha contribuito all’elezione del saltatore di turno. Non sempre le giustificazioni degli atleti sono convincenti. Uno che fa parte della minoranza e cambia casacca  ma resta all’opposizione, combatte una battaglia personale all’interno di una coalizione che si rifà ad un progetto elaborato insieme, seppure con qualche distinguo. Meno comprensibile e alquanto sospetto è, invece, il passaggio da uno schieramento all’altro. La coalizione X,Y,Z vince le elezioni. La colazione A,B,C perde. Si nomina l’esecutivo (Giunta). Poco dopo qualche eletto va in stand by. Altri iniziano una lenta ma progressiva migrazione da ABC a XYZ. Forse questi migranti di ABC hanno letto in modo più approfondito il programma di XYZ e ne condividono l’impostazione? Potevano farlo prima di candidarsi con lo schieramento sbagliato. Tuttavia potrebbero sempre votare a favore dei provvedimenti che ritengono utili per la città, anche se proposti dalla maggioranza di cui non fanno parte, senza abbandonare la coalizione di origine. Un tale  comportamento non darebbe adito a  malevoli interpretazioni.      

CASORIA 1948


Ricordi di un dodicenne

 E’ novembre. Fa freddo. La nonna si è alzata alle prime luci dell’alba. Ha messo carbonella e carbone nella “fornacella”davanti alla porta d’ingresso. Io sto rannicchiato nel letto. Al calduccio. Sento i passi sulla “loggia” di mastro Antonio che si reca al lavoro e della vecchia magliaia  che si affretta a sversare il contenuto dell’orinale nel cesso alla turca che troneggia al centro del cortile. Quasi nessuno  possiede un bagno, perciò di buon mattino è un via vai. Non ho voglia di alzarmi. La luce che filtra dalle persiane si sposta sul pavimento col passar del tempo. La nonna mi chiama. “Scetate! Scinne ‘a dint’ ‘o liette. Ti sto preparando la zuppa d’orzo. L’acqua sta nella brocca. Riempi ‘o vacile. Lavati bene le orecchie con il sapone. Sbrigati. Ieri hai fatto tardi e non sei andato a scuola.” A malincuore scendo dal letto. Dal vicolo mi arriva il suono dei campanacci legati al collo delle capre o delle mucche che il contadino porta nei vicoli. Sento il ciabattare delle donne  mentre si affrettano a farsi riempire i recipienti con il latte schiumoso e tiepido appena munto. Dalla strada mi arriva il suono degli zoccoli di asini e cavalli e delle ruote dei carri sull’acciottolato. Mi infilo di corsa  calzoncini, camicia, maglione e scarpe antiusura munite di puntette e centrelle, e corro a lavarmi. Sul tavolo fuma la zuppa d’orzo preparata con pane raffermo. Accanto la nonna mi ha messo la merenda: il cuzzetiello  farcito con fagioli all’insalata o friarielli, residui della cena. Mangio in fretta. Afferro la cartella preparata in precedenza, la merenda, il cappotto rivoltato e corro giù per le scale diretto alla stazione. Nel cortile Clementina sta riempiendo il lavaturo con l’acqua verdognola attinta col secchio dalla piscina adiacente. Si appresta come ogni giorno a fare il bucato per sé e per altri. Evito di finire nei  cupielli  per la culata allineati lungo la loggia. Cerco di non scivolare sui basoli bagnati e talvolta ghiacciati del cortile e di non calpestare gli escrementi di mucche, asini e cavalli disseminati lungo il percorso. Imbocco una cuparella che costeggia un campo recintato da cui si leva un acuto profumo di mele. Da lontano vedo Francesco, fermo davanti alla stazione ferroviaria, che mi fa segno di affrettarmi. Francesco sta nella mia classe al Sacro Cuore di Frattamaggiore. Arriva il treno. E’ un merci adibito al trasporto degli umani. Carmine, il custode ci accoglie sorridente all’ingresso della scuola. Il professore di lettere, Luigi, figlio di don Stefano, è bravo. A molti di noi alunni ha trasmesso l’amore per la poesia. E’ l’una. Suona la campanella. Usciamo. Mi avvio piano alla stazione. Perdo il treno delle due. Il prossimo passa alle quattro. Non mi resta che aspettare o andarmene a piedi lungo la strada ferrata. A casa sotto l’androne del palazzo trovo Carmenielle, Totore, Giuvanne, Pascalino. Giocano “ ‘a liscia, a sottomuro, azzeccamure, uno ‘int ‘a luna.  Io devo fare i compiti per domani. Mannaggia! Nel cortile le ragazze saltano con la corda o giocano “ ‘o  puzzo”.  Salgo le scale mogio, mogio. La nonna ha cucinato pasta e cavolfiori. Li mangio di mala voglia. Non mi piacciono i cavoli. Comincio a fare i compiti: amo, amas, amavi, amatum, amare. Perimetri, aree, espressioni. Devo essere interrogato. Sono già le 6. Tornano dal lavoro quasi tutti. Sento il trillo della bici del padre di Totore. Le mamme danno la voce ai figli. Tutti a lavarsi mani e gambe prima di mettersi a tavola per l’unico vero pasto della giornata. Dopo una mezz’ora circa sento il vociare dei miei coetanei nel cortile. Metto da parte libri e quaderni ed esco furtivamente. Mi unisco al gruppo per giocare a guardie e ladri, a nascondino o altro. Arriva l’ora della cena. La mia famiglia appartiene al ceto che oltre alla colazione si può permettere il pranzo e la cena. Vengo richiamato in casa. La nonna tira fuori qualcosa dalla moschiera appesa fuori al balcone esposto a nord. E’ il nostro frigorifero. Mangio in fretta e chiedo a mia madre il permesso di andare dalla signora Valeria. Permesso accordato. E’ una vecchietta arzilla, curva e rugosa che ha il dono di saper raccontare le favole. Raccolti   intorno al  braciere su cui è stato piazzato l’asciuttapanni, con i nipoti  ascolto rapito i suoi racconti tratti quasi tutti dalle Mille ed Una Notte. Non più di due favole a sera. Non c’è  tempo per raccontarne altre. Andiamo a letto fantasticando di tappeti volanti, sultani, palazzi principeschi. Se voglio leggere o studiare stando a letto devo accendere la candela per non disturbare gli altri che dormono nella stessa stanza. Rinuncio. Mi addormento e sogno di volare.

Oggi è domenica. Mi hanno lasciato dormire fino alle otto. La due stanze in cui abitiamo devono essere rassettate. Mia madre mi ha preparato i calzoni alla zuava ricavati da un pantalone del nonno. Rosaria canticchia sulla loggia. Zia Nannina sta impastando farina e uova. Appoggiata a due sedie c’è una lunga canna su cui sospendere ed asciugare le laganelle. Sulla fornacella borbotta il sugo di pomodoro con l’aggiunta di conserva e con circa 400 grammi di carne.  E’ il nostro ragù. Il nonno mi manda da Mezzamisura a comprare un litro di vino ed una gazzosa e da Palomma a comprare il pane ed un po’ di parmigiano. Nel cortile Feliciella stende i panni su una corda tesa tra due arcate. Le lenzuola toccano quasi il suolo. Lei solleva la corda al centro con una furcina.  Il marito di Maria, ‘a pezzentella, è seduto al banchetto da ciabattino sull’uscio del monolocale dove abita, intento ad inchiodare una suola col suo martello a testa larga. Buongiorno! A quel tempo noi ragazzi salutavamo tutti gli adulti del vicinato. Il carbonaio si affaccia sulla via dal buio della sua bottega. Buongiorno! All’angolo del vicolo c’è una donna che vende allesse dentro e cuoppe ricavati da giornali e quaderni vecchi. Vende prodotti di stagione. In estate offre le spogne (pannocchie) oppure ‘e rattatelle (ghiaccio grattugiato con un arnese di cui non ricordo il nome) su cui versa acqua zuccherata di vari colori. ‘A  pazzarelle di Santa Maria espone alcune sporte di cachissi maturi, di friariellie verdure varie. Sono quasi le dieci. Il salone (si fa per dire) di Tatonne ‘o barbiere è affollato. I clienti in attesa  smembrano e si passano l’unico giornale disponibile. Davanti al salone staziona la pianola di Don Nicola. Allieta i passanti con le sue note in cambio di qualche spicciolo. Vado con la mamma a San Mauro per la Messa. Qualcuno la saluta  togliendosi il cappello. Si usava.. Dopo la Messa mi fermo all’Associazione Cattolica dove un vecchio sacerdote, Don Maurino, mette a nostra disposizione alcune scacchiere per giocare a dama. Ma la maggior parte di noi ragazzi si affolla attorno al tavolo di ping pong. Si litiga perché qualcuno più grande pretende di non rispettare il turno. Le campane suonano per chiamare i ritardatari alla messa dell’una. E’ l’ora di tornare a casa. A pranzo finito mia madre mi chiede se ho fatto tutti i compiti. Sento i ragazzi del palazzo che giocano giù in cortile con una palla di pezza e con i carruoccioli e i monopattini che si sono costruiti da soli. Non resisto. Dico di sì e corro giù a giocare anch’io.    

 

          A proposito di improperi

          In presenza di un improvvisa situazione di pericolo un anglofono normalmente impreca, magari sottovoce,“SHIT”. Un Francese, invece, grida “MERDE”. Entrambe le espressioni, molto colorite, sono impersonali. Anche noi Italiani abbiamo un’equivalente espressione impersonale: “C****”. Il nostro termine, in questo caso, non ha una connotazione sessuale. Le tre parole scaricano la tensione del momento. A volte i nostri amici europei personalizzano il loro disappunto dispiegando il dito medio a pugno chiuso in direzione di colui che ha causato il pericolo. Una volta gli Italiani personalizzavano la loro disapprovazione mostrando in contemporanea l’indice ed il mignolo della stessa mano. Ma ormai questo simbolo, riferibile solo all’infedeltà coniugale, ha perso la sua carica offensiva grazie alla dilagante libertà dei costumi e viene sempre più spesso sostituito dal dito medio esposto impudicamente dal finestrino. La globalizzazione ha contaminato questo settore. Anche il linguaggio è stato contaminato tant’è che il termine “merda” è entrato nella telecomunicazione e nei rapporti interpersonali senza trovare ostacoli. La scurrilità che un tempo era patrimonio esclusivo di chi si esprimeva in dialetto si è trasferita in televisione e da questa, nella gente. Il termine dà più forza alla comunicazione. Spesso un programma sgradito è definito “un programma di m****”. Invece di dare dello stupido, dell’incompetente o dell’ignorante ad un interlocutore televisivo si preferisce dire: “Sei un pezzo di m****” o  ricorrere ad un sonoro “Vaffa” che, comunque, evoca la sede dell’evacuazione.

            E’ evidente che il termine è usato in senso metaforico per indicare disprezzo, dissenso o quant’altro. Purtroppo come ci si  abitua alla presenza del termine metaforico nel linguaggio comune ci si abitua anche alla presenza nelle strade di questa maleodorante sostanza. A Casoria esiste una strada che potrebbe essere intitolata a questo prodotto naturale. Si tratta di un tratto di Via G. Matteotti. Chiunque voglia ammirare le numerose decorazioni lasciate da cani padronali e randagi deve imboccare Via San Giovanni Bosco e al suo termine girare a destra. Se i depositi canini sono recenti li potrà seguire a naso. Appostarsi per una mezz’ora in questa strada significa fotografare decine di cani al guinzaglio in defecazione libera, amorevolmente assistiti dai loro accompagnatori. Ma non si può, C’è la privacy. Parola magica che a malapena ti concede l’inquadratura dei cani. A multare gli accompagnatori ci pensano i vigili, ma solo quelli deputati a questo compito. Sono diverse le ordinanze del Comune relative a questo problema ma finora si sono rivelate delle disordinanze Pertanto si pregano i sindaci  presenti o futuri a non emettere ordinanze se non si è in grado di farle rispettare.

                                                                                Giuseppe Navarra

Via G. Giolitti
Via G. Giolitti

Perché non aprire Via Giolitti?

 

Va da sé che una città volutamente ed intensamente sviluppata in senso orizzontale e verticale avrebbe avuto bisogno di molte aree di parcheggio. Risultato? Auto dappertutto, persino sui marciapiedi (quando ci sono). La nostra non è una città a misura di pedoni e bici. Ciclisti e pedoni sono a rischio perpetuo. La febbre edificatoria salì a tal punto e tanto celermente che diversi palazzi di Via Principe di Piemonte furono costruiti senza rispettare le quote. Posso affermare senza tema di essere smentito che solo le persone normodotate possono percorrere i suoi marciapiedi a gradini, non certo i disabili. I La valanga di concessioni edilizie del 31 agosto 1968 e la conseguente maniacale febbre cementizia risultarono nei disordinati agglomerati urbani di Via Principe di Piemonte, Carducci, Tasso, De Gasperi ecc., per non parlare dello scempio di Arpino. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: traffico veicolare pazzesco, distanze risicate tra gli edifici, marciapiedi monopedonali, improvvida assenza di aree destinate a parcheggio. Improvvida? Sarebbe più realistico definirla assenza interessata. Un’area di parcheggio significava non poter costruire 2 o 3 edifici a 7 piani. Meno soldi incassati da palazzinari, da intermediari, da frettolosi tecnici progettisti e dai proprietari dei suoli lottizzati, pochi residui marciapiedi pedonabili sono spesso ostruiti da merci varie, in primis ortaggi e frutta, in barba ad ogni tipo di norma igienica. Al riguardo sono state emanate nel passato delle ordinanze sindacali, rispettate solo per qualche settimana, poi tutto è tornato nella normalità del suk casoriano. I Casoriani hanno la memoria corta ed è il caso di ricordare loro che l’attuale problema di Via Giolitti, strada senza futuro perché senza sbocco, è una vittima della prima conurbazione selvaggia. Gli attuali abitanti, però, potrebbero organizzarsi in Comitato di quartiere come hanno fatto i rioni Stella e Castagna per difendere la qualità della loro vita. I Comitati di quartiere e le Associazioni di cittadini sono indispensabili per scuotere l’inerzia di politici, funzionari e tecnici che si addormentano sulle carte o con la proverbiale tetta in bocca. Ne è un esempio il Comitato di Via Saggese in Afragola che è riuscito ad accelerare l’apertura della strada di collegamento Afragola-Casalnuovo. Ne è un esempio la protesta del Comitato Castagna che ha costretto l’amministrazione ad una pausa di riflessione sulla scelta di Via Calvanese come sito per l’installazione di un’isola ecologica. Via Giolitti, figlia del caos edilizio sessantottino, priva di sbocco veicolare in Via Torrente, senza spazio di manovra per tornare in via Tasso, (ne sanno qualcosa gli autisti dei mezzi per la raccolta rifiuti), potrebbe essere una parziale alternativa al traffico di Via P. di Piemonte se fosse collegata con Via Torrente con i dovuti sensi di marcia. Una passata Amministrazione fece il timido tentativo di aprire la strada, ma non ebbe il coraggio di espropriare qualche decina di mq per pubblica utilità. Forse un Comitato Giolitti potrebbe riuscire nell’ardua impresa.   

Un articolo vecchio di qualche anno ma attualissimo

                                       GOLF e SLALOM

 

Oggi è di moda uno sport anglosassone, il golf. E’ uno sport per gente ricca che può permettersi di iscriversi a club esclusivi. Ai club esclusivi si può essere accettati solo se si è presentati da altri soci e dietro il pagamento di una salatissima quota di iscrizione.

 Questo sport si sta diffondendo anche in Italia. La cosa ci inorgoglisce e ci tranquillizza perché ciò significa che  il tenore di vita generale sta migliorando. Aumentano i milionari in grado di pagarsi questo costosissimo sport.

   Per coloro che non hanno la possibilità economica di iscriversi ad un club esclusivo la provvida e generosa natura ha creato percorsi da golf occasionali con l’aiuto delle piogge acide.

   Chi percorre le strade di Casoria, a piedi, in auto o in bici, può ammirare le innumerevoli buche da golf che si creano dopo i frequenti acquazzoni. In alcuni tratti compaiono addirittura dei laghetti, previsti anche nei percorsi classici del golf. Cosa possono pretendere di più gli amanti di questo sport sprovvisti di adeguate risorse economiche? Un contributo determinante alla costruzione delle piste è dato dall’asfalto usato dai nostri rifacitori di strade. Esso  ha la prerogativa di essere solubile in acqua piovana. Si scioglie e si disgrega a contatto con le piogge acide.

Basta percorrere Via Cavour, Via Matteotti, o andare ad Arpino, in Via Giotto  per rendersi conto che questi sono i migliori percorsi da golf per squattrinati.

   Un altro sport possibile a costo zero su queste strade è lo slalom con cicli e motocicli. E’ un gran divertimento slalomare tra le buche oltre che tra le auto. I migliori concorrenti che giungono al traguardo incolumi sono quelli che riescono ad evitare le buche più profonde e quelle mimetizzate.

     Ultimamente  golfisti, slalomisti ed i loro fans sono in allarme per una notizia pubblicata su un quindicinale locale  che annuncia l’arrivo di un finanziamento regionale per rifare la pavimentazione di  “buona parte del centro storico”. Il nostro grazie va al grande impegno di un noto politico locale. Purtroppo, però, se si ripavimentano le strade addio al golf ed allo slalom gratuiti.

   Ma state tranquilli, cari sportivi, perché tra il dire ed il fare c’è di mezzo la BUROCRAZIA. Il nostro benefattore che riesce ad ottenere finanziamenti regionali, ne ottenne un altro anni or sono (2001? Non ricordo) per due tronchi viari di collegamento tra Via Petrarca e via Calvanese. I due tronchi sono ancora in attesa di mettere rami e foglie.

   Se i tempi della ripavimentazione del centro storico saranno gli stessi di quelli dei due tronchi, ci sarà da aspettare almeno fino al 2009/2010.

   Comunque non sarei così pessimista cari sportivi della strada.  Se i rifacitori di strade useranno l’asfalto solubile in acqua piovana ( perché dovrebbero cambiarlo?), basterà attendere solo le primavere e gli autunni successivi per vedere ripristinate le piste gratuite. 

   

                                                  Giuseppe Navarra

Inceneritore di Acerra
Inceneritore di Acerra

              TERMOVALORIZZATORE O INCENERITORE?

 

Spesso si usano parole in sostituzione di altre per mascherare verità sgradevoli. E’ il caso del termine “termovalorizzatore” usato in luogo di “inceneritore”. Il primo richiama alla mente la produzione di energia elettrica ricavata dalla combustione dei rifiuti senza che l’utente si soffermi sul prodotto residuo della combustione, le ceneri, il secondo, invece non è “politicamente corretto” perché pone subito, a chi sa riflettere, il problema dello smaltimento delle ceneri. Tra l’altro la Comunità Europeaha già diffidato l’Italia dall’usare una parola inesistente al posto di quella giusta.

Termovalorizzare tranquillizza, incenerire allarma.

Tanto per cominciare la combustione ad altissime temperature negli inceneritori produce nanopolveri; particelle minuscole altamente tossiche, non biodegradabili, che vengono liberate nell’aria ed inalate da uomini ed animali. Esse raggiungono polmoni, sangue e tutti gli altri organi. Persino i feti ne sono colpiti. Sono anche in grado di alterare il DNA. Così, respirando, siamo noi a fungere da discarica. E’ l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad affermarlo: le nanopolveri sono la maggior minaccia alla salute pubblica da inquinamento atmosferico. Anche la Federazione ItalianaMedici di Medicina Generale sostiene che “l’incenerimento dei rifiuti è la tecnica di smaltimento più dannosa per l’ambiente e la salute pubblica.” Infarti, ictus, malformazioni fetali, Parkinson, Alzheimer e numerosi tumori sono in parte attribuibili alle nanopolveri, tant’è che è sorta un’altra branca della medicina: la nanopatologia.  

                                          Incenerisco, inquino l’aria, mi suicido

Oggi si fa fatica a convincere i padroni del vapore della pericolosità delle polveri. E’ già successo con l’amianto che sin dal 1863 era considerato pernicioso per la salute umana. Ci sono voluti 130 anni perché l’amianto fosse messo al bando, (1992).

 LE CENERI: Tre tonnellate di rifiuti bruciati producono una tonnellata di ceneri e 1353 kg di anidride carbonica che aumentano l’effetto serra secondo una stima della Comunità Europea. Trattasi di ceneri tossiche che andrebbero smaltite (ma lo saranno?) in discariche speciali molto più costose e pericolose delle normali.  E poi ci sono i costi. Bruciare richiede molta energia. Quella che se ne ricava giustifica questo tipo di smaltimento? Ai costi per bruciare i rifiuti si devono aggiungere anche quelli per il loro trasporto all’inceneritore, delle ceneri alla discarica speciale e della gestione dell’impianto. I 13 inceneritori presenti in Lombardia producono meno del 2% del fabbisogno della regione. Conviene economicamente? E i danni ad ambiente e salute chi li paga?

L’Italia è l’unico paese al mondo che finanzia questa infausta scelta con il 7% della bolletta. In altre nazioni tra cui Germania, Austria e Belgio l’incenerimento è scoraggiato con tasse aggiuntive proprio perché inquinante. I proprietari dell’inceneritore di Brescia hanno incamerato in 10 anni finanziamenti pubblici legali ma impropri per circa 400 milioni di euro. Spalmando questa cifra sui 52 inceneritori costruiti in Italia si arriva alla bella somma di 53 miliardi di euro. Sono i cosiddetti finanziamenti CIP6 sottratti alle vere fonti pulite e rinnovabili quali l’energia eolica, solare, fotovoltaica e geotermica. Con 53 miliardi di euro si poteva regalare un pannello fotovoltaico a tre milioni e mezzo di famiglie italiane. C’è infine il problema dell’occupazione. Il tanto decantato inceneritore di Brescia, definito il più pulito mai costruito, ha appena 80 dipendenti.

La produzione di energia con fonti rinnovabili in Germania, nazione non certo assolata, assorbe il 20% del fabbisogno nazionale; la Navarra, una regione della Spagna oltre il 60%. E noi? Noi costruiamo inceneritori. L’ultimo della serie è quello di Acerra definito ormai “la tela di Penelope.”

Incenerire non è un vantaggio né energetico né ambientale. E’ solo un business che arricchisce chi li costruisce e gestisce mentre subdolamente attenta alla nostra salute. In Francia ed in Irlanda hanno chiesto una moratoria contro la loro costruzione. In Emilia i medici protestano. A Brescia il Presidente dell’inceneritore è membro del Comitato del Registro Tumori provinciale. Stranezze italiane!

Incenerire ruba risorse. Riciclare piuttosto che bruciare.

I rifiuti riciclati ci fanno risparmiare materie prime, a cominciare dalla plastica.  Molte città hanno adottato la strategia “Rifiuti Zero”. E’ una strategia premiante. Consiste nell’eliminare gli imballaggi e differenziare i materiali da raccogliere (carta, plastica, vetro, involucri di metallo ecc.). Novara in pochi anni è giunta al 68%. Alcuni comuni sono all’80%. San Francisco che adotta questa strategia da anni è al 67%. Si invia al riciclo tutto il materiale che può essere riciclato ed il residuo è mandato ad impianti di selezione meccanica per il recupero di altro materiale. Ciò che rimane può essere trattato con impianti di bioessiccazione la cui costruzione impegna il10% del costo di un inceneritore. Resta uno scarto inerte, cioè non dannoso. I produttori delle merci devono avere la consapevolezza che parte del loro prodotto prima o poi diventerà un “rifiuto” e che questo scarto deve essere totalmente riciclabile. 

Gli inceneritori convengono solo a chi li costruisce e li gestisce mentre l’unica vera convenienza è quella di non aver rifiuti da conferire e deriva dai processi di Riduzione, Recupero e Riciclaggio dei materiali giunti alla fine del loro utilizzo. RRR. Stefano Benni lamenta che i fautori degli inceneritori “insistono su un progetto ormai fallito, un modello di sviluppo che non riesce a progredire, ma solo a riportare indietro la qualità della vita di tutti. Si dicono moderni e chiamano gli altri arretrati. Togliamogli dalla bocca questa bugia. Arretrato è chi sceglie il progetto che piace agli affaristi ed ai mafiosi. Moderno è chi sceglie il progetto migliore”.

Per saperne di più cerca con le parole chiavi: nanopolveri, nanopatologie, Stefano Montanari, Patrizia Gentilini, Federico Valerio, Consorzio Priula, Maurizio Pallante, Paul Connet, Rifiuti Zero, Gabriella Gribaudi Oppure visita: www.stefanomontanari.net; www.nanodiagnostics.it

                                                                       Giuseppe Navarra

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Commenti: 7
  • #1

    LAGO CIRO (giovedì, 11 dicembre 2008 18:34)

    A CONTI FATTI CONVIENE LO SMALTIMENTO
    DEI RIFIUTI NELLE DISCARICHE
    TRADIZIONALI. SONO DACCORDO CON IL
    PROF. GIUSEPPE NAVARRA

  • #2

    Mara (sabato, 14 marzo 2009 09:10)

    buongiorno prof.
    ho appena letto " ricordi di un dodicenne".Ve lo devo dire...ho sentito una certa serenità nell'immaginare il vostro ricordo !Non dovrei dirlo perchè sono una donna moderna!!!Non so come spiegarmi ma si sente il" profumo della vita sana" nelle vostre parole...!La modernità ci allontana dalla realtà.Oggi i genitori preferiscono regalare ai figli giochi elettronici con finti cuccioli da accudire....piuttosto che cuccioli veri da amare....! E così facendo "non si sente più il profumo di una vita sana",ma l'odore della sterilità!
    in conclusione.... grazie per aver sprigionato questa "dolcissima fragranza"
    P.S. Mamma mi chiama gli altri articolo li leggo con calma!!!!!
    A presto,
    Mara

  • #3

    Arcangelo Vitagliano (mercoledì, 11 novembre 2009 10:54)

    Professore buongiorno!!!come al solito siete un grande quando scrivete..concordo con mara l'articolo"ricordi di un dodicenne" è davvero fantastico!!complimenti ancora a presto..

  • #4

    Giuseppe Pesce (mercoledì, 24 marzo 2010 12:49)

    Bellissimo, prof! Casoria 1948 non tornerà mai più, ma lei ce ne ha offerto un racconto memorabile, che vale più di tutte le (poche) ricerche storiche su questa città: GRAZIE.

  • #5

    Ferdinando Troise (lunedì, 05 luglio 2010 14:35)

    Sono onorato di averVi tra i collaboratori di Casoriadue. Grazie, Prof.
    Nando Troise.

  • #6

    Juicers Reviews (giovedì, 02 maggio 2013 18:17)

    I shared this on Myspace! My pals will definitely enjoy it!

  • #7

    carlo (mercoledì, 09 agosto 2017 18:19)

    Qualcuno conosce le sorelle Fontanella? Anna Maria, Apollonia e Carmela?