Il nome di Casoria, si ritiene abbia origine dalla defini­zione Casa Aurea, poi diventata Casaurea, e successiva­mente Casoria. Secondo alcuni Casoria deriverebbe inve­ce da “Casa Mauri”. Il nome appare comunque per la prima volta in una cronaca dei Duchi di Capua scritta da un anoni­mo nel 948-949.

   Casoria è indubbiamente una delle più fiorenti cittadine della “Campania felix”. Adagiata in una fertile pianura at­taccata al territorio metropolitano, in vista del Vesuvio e del­la prima giogaia degli Appennini, essa non è nuova ai fasti opimi dell’agricoltura e del commercio, anzi fin da epoca remota è stata una perla floridissima della nostra lussureggiante regione.

   Poche tracce sono conservate oggi del più remoto pas­sato del primo nucleo ove attualmente sorge Casoria. Tra queste è una lastra di marmo con epigrafe greca e latina ri­salente al 194 d.C. forse copertura tombale venuta alla luce da scavi casuali nella contrada Carbonella e conservata oggi nella sala epigrafe del Museo di Napoli.

   Da questa lastra si deduce che in quel lontanissimo pe­riodo il luogo doveva essere addetto a riunioni mistiche di un collegio di donne celebranti i misteri della dea TELBIA CASTIA. Dall’epigrafe risulta inoltre la costruzione di un tempio dedicato ad Artemide (particolarmente venerata a Napoli).

 

   Un antico documento storico rinvenuto è la lapide del sarcofago del guerriero Jacopo da Fano, che, venuto in Ca­soria al seguito di Innocenzo IV nel 1254, mori nel 1281 e fu sepolto in una Cappella che sorgeva sullo stesso luogo dell’attuale chiesa di S. Benedetto. Si può dire che le origini di Casoria risalgono al V secolo d.C.

    Da importanti documenti storici esistenti nella Bibliote­ca della Badia di Montecassino si rivela che questo fertile territorio, chiamato “agro gentiano” fosse di proprietà della famiglia senatoriale romana degli Anici, (donato dal Senato­re Equizio Anicio, padre di S. Mauro, attuale protettore di Casoria, a S. Benedetto da Norcia) con atto dì donazione del 15/7/529, di cui si trova copia a pagina 54 della descri­zione storica di Montecassino.

   Dopo la morte di S. Mauro, monaco Benedettino, i reli­giosi di Montecassino, recandosi a Casoria, ogni anno, per il raccolto, edificarono una Cappella in onore di S. Mauro per la celebrazione dei loro riti. Più tardi sorse un’altra chiesa, poco lontano, in onore di S. Benedetto. In seguito, i Benedettini, perdettero quel vasto territorio, lo riebbero nell’anno 924, lo perdettero definitivamente, ed il campo “Gentiano” fu frazionato e venduto.

 

   Presso la biblioteca Nazionale di Napoli, esistono libri storici da cui risulta che diversi sono stati i feudatari che hanno dominato su questo territorio, allora di 4000 moggia di terreno, e cioè, Isabella, moglie di Giovanni de Cipolla; Carlo di Sanframondo; Giacomo di Costanzo; Lucio de Sangro e Lucrezia Brancaccio.

   Ma, in tali e tanti passaggi di dominio, gran parte del ter­ritorio fu perduto ad eccezione di una fertilissima zona che tuttora conserva il Comune di Casoria, limitrofa a Ponticelli (sez di Napoli) e che si estende fino alla frazione Arpino, li­mite di confine con Napoli.

  Durante il periodo Longobardo il territorio gentiano fu tolto ai religiosi cassinesi, frazionato e venduto a privati e una sola parte fu conservata e ceduta al Comune di Casoria.

   In quel tempo inoltre, venivano chiamati Casarii gli abi­tanti di rudimentali capanne; queste ultime erano dette “Casuri” che significò, appunto "Case povere". Ciò, quindi, fa supporre che il primo nucleo abitato fosse costituito da qualche gruppo di case rustiche, capanne di paglia e di sag­gina, al più con base di pietra come se ne costruirono fino al l860.

    

   Nel Medioevo il villaggio di Casoria divenne feudo, pas­sando dal vassallaggio all’Arcivescovo di Napoli nel 1279 alla proprietà di vari signori; nel 1428 Casoria faceva parte di un unico feudo con Casignao e Olivola.

   Dopo il 1580 probabilmente i cittadini di Casoria riscattarono la loro patria dal gioco baronale e si aggregarono al Real Demanio. Secondo quando riportato da Paone, nella “Appendice alla vita di S. Mauro”, nel 1631 il territorio di Ca­soria fu messo all’asta essendo stata decretata, dal Vicerè Spagnolo di Napoli la vendita di terre e villaggi del Napole­tano. Gli abitanti del villaggio (trecento famiglie) tuttavia si ribellarono a tale imposizione accettando invece dì pagare una forte somma per il loro riscatto (pari a dodicimila duca­li).

   A quel tempo Casoria aveva 1600 abitanti e faceva par­te dei numerosi ”casali” dell’"ager neapolitanus" dei quali, nel periodo vicereale, era frequente la vendita a privati per rimpinguare le finanze dello Stato.

   La feudalità si estende realmente solo alla fine del XVIII secolo; durante il settecento, infatti, si avvicendarono al possesso di Casoria le famiglie SANGRO e BONCHI.

   Giulio Comite, regnando Carlo III di Durazzo, acquistò il feudo che più tardi passò a Fabio Capece Galeota.

   Fu riscattata la seconda volta e definitivamente dal ca­soriano Giovanni Pisa. Sindaco dell’epoca, con istrumento 15/4/1631 del Notaio di Corte Massimini Passari, con l’in­tervento di don Ferdinando Afan Enriquez de Rìbera, duca di Alcalà, Vicerè del Regno di Napoli, Giulio Comite, Gio­vanni Pisa e il Deputato D. Donato Ferrara.

      

   I dintorni immediati di Casoria, fino all’anfiteatro collinoso, dal medioevo al secolo XIX, furono paludosi e malarici tanto che il Lautrec, accampato col suo esercito, in questo territorio nell’assedio di Napoli – 1528 - vi perdette due terzi dei suoi soldati ed egli stesso morì.

   Ma le paludi furono bonificate al principio del 1800 con una rete di canali di 43 Km ed i campi si resero ancora più fertili.

   Casoria era un territorio di 4000 moggia, le strade; al quanto larghe e selciate e nei rioni non mancavano palazzottì di mediocre fattura.

   L’economia era fondata essenzialmente sul commercio dei vini e sulla produzione della canapa.

CHIESA DEL CARMINE

   Chiesa di modeste dimensioni risalente nella struttura primordiale dell'annessa congrega, al 1651, come risulta da una tavola marmorea di chiusura di un sepolcreto. Ebbe regole proprie nel 1754 sotto Carlo III Re delle due Sicilie.

   L’originale planimetria della congrega, doveva corrispondere all’incirca all’attuale pianta, e occupava lo spazio che intercorre tra via Cavour e la Cupola dell'attuale chiesa. Essa fu poi allungata, aggiungendovi un braccio opposto alla cupola e trasportandosi in questo, l’altare in massellatura di marmi policromi, che già   esisteva sotto la cupola; detto prolungamento corrisponde all’attuale pianta della chiesa.

   Si presenta con un'unica navata centrale, adorna nella sua lunghezza da lesene e fregiature tardo-barocche; vi si possono ammirare due bellissime tele raffiguranti una "Santa Anna e un San  Nicola attribuite al “Mozzillo”.

   La congrega anch’essa ricca di stucchi presenta diverse pitture di stilistica tardo-barocco.

   Da notarsi la pregevolissima pavimentazione di mattoni maiolica a disegni simmetrici, di notevole fattura.

Monumento a Padre Ludovico

   Nella Piazza S. Croce vi è una statua di bronzo del Venerabile Padre Ludovico da Casoria dello scultore: Cifariello.

   Circondato da un piccolo cancello di ferro, il monumento si eleva a sette metri dal piano della piazzetta Santa Croce. Intorno vi corre un’aiuola interna nel mezzo delle quattro facce, da altrettanti piani inclinati, che da terra vanno su fino alla base, di pietra vesuviana.

   Nell’aiuola arieggia un tronco di piramide, dalla cui base superiore, s’innalza il basamento quadrato, e da questo una colonna di granito sormontata da un capitello di pietra vesuviana, sul capitello grava il busto bronzeo del nostro Grande.

   Il capitello ha quattro facce con uguali spigoli che portano scolpiti ognuno un piccolo fascio di gigli, sulla faccia anteriore v’è una colomba, con le ali aperte.