Bicicletta, che passione

 

“La vita è come stare in bicicletta, se vuoi stare in equilibrio devi pedalare”, A. Einstein, il nobel per la fisica alludeva, forse, anche all’equilibrio psico-fisico.  Il pedalare, come il camminare, è salutare. Non si tratta di dire ciao, addio o buongiorno, è evidente. Pedalare rafforza i muscoli, migliora le articolazioni e la circolazione, quella stradale oltre che la sanguigna. E’ noto che i bersaglieri correvano e pedalavano a giudicare da foto d’epoca. Oggi hanno appeso la bici al chiodo e vanno in moto anche loro. Quando riparare bici era un lavoro che sosteneva molte famiglie di Casoria, i giovani del paese (allora era solo un paese di 20.000 abitanti compresi Arpino e Casavatore)  le prendevano in fitto da Don Renato o’ cicliste in Via M. Rocco, o da Mangiabuono a Santamaria. L’ultraleggero non era stato ancora prodotto. Le bici d’affitto erano pesanti da sospingere e cigolanti. Recentemente la bici come il calcio ha attirato l’attenzione dei politici casoriani. Ricordate le squadre di calcio degli anni ‘50 sponsorizzate da PCI, DC, PM? Allora i giovani calciatori giocavano per la gloria, qualcuno per le sigarette, gli sponsor per farsi propaganda elettorale a buon mercato. Solo da poco tempo la bici ha fatto il suo ingresso ufficiale in politica. Da quando sono state istituite le “Domeniche Ecologiche”. Scomparse le auto, si vedevano in giro solo pedoni, ragazzi su pattini o skateboard e gente di tutte le età in bici, coppie di fidanzati in tandem. Persino genitori con ragazzini in bici a quattro ruote. Qualche politico dal naso fine annusò la possibilità di una maggiore visibilità personale e sponsorizzò le “Pedalate Ecologiche” con tanto di cappellini e magliette. Entrato, o rientrato, nella stanza dei bottoni dimenticò del tutto i pedalanti e mai, dico mai, stanziò una lira (oggi euro) per le piste ciclabili. Ringrazio pubblicamente il mio amico Mauro che mi ha inviato uno studio statistico di Legambiente sull’uso della bici in Italia ed in Europa e sulla scarsità di queste corsie riservate nelle nostre città. Mi ha dato modo di parlare di un tema che mi sta a cuore e che fu posto all’attenzione (o disattenzione?) dei commissari prefettizi. Risposte non ne abbiamo ricevute ed il suggerimento di creare una pista ciclabile sul percorso ARIN è annegato miseramente. La gente passa buona parte della giornata in auto, nel traffico caotico, per recarsi in ufficio a 15 minuti di cammino, per portare o prendere i figli a scuola. Non fa 300 metri a piedi. Andare al lavoro in bici non è considerato chic.  Forse è anche pericoloso data l’arroganza e l’inciviltà di molti patentati. Eppure negli anni ’50 sulla sannitica, all’imbrunire, passavano schiere di lavoratori-ciclisti provenienti da Napoli, diretti alle loro case di Caivano, Cardito, Afragola. Erano i pendolari della bici. Quelli che risparmiavano il biglietto del tram. A Casoria siamo costretti a far un uso smodato dell’auto. Le periferie si sono estese fino a congiungersi con quelle di Afragola, Frattamaggiore, Casavatore.  Prendete quelli che abitano in Via Brindisi, Cagliari, Martiri d’Otranto, Etna, rione Stella e Giotto ad Arpino.  Non sono da biasimare affatto se per venire al Comune, all’ufficio LL.PP., in banca, all’equitalia, ai due uffici postali si mettono al volante della loro auto. Non c’è uno straccio di  servizio di trasporto pubblico di superficie in una città che conta 90.000 abitanti. Da Piazza Dante partono solo i collegamenti con Napoli. Oh, se ci fossero percorsi ciclabili!!!  Legambiente fa delle liste di piste ciclabili per città in base a diversi parametri. Tra le città menzionate non c’è Napoli. Se si prende solo la classifica relativa all’estensione in km delle piste ciclabili risulta che le città del nord (Torino, Reggio Emilia ecc.) sono dotate di una rete di  piste ciclabili molto estesa (qualcuna per oltre 100 km). Nelle città della Campania Benevento possiede 19 km, Caserta 8,2km, Salerno 4,6 km ed Avellino 0,3, cioè 300 metri.  Napoli, zero. Casoria , doppio zero.

EQUITALIA: SIAMO A CAVALLO

 

Voglio pagare la mia terza rata TARSU ed altri servizi. Vado all’uff. postale di via Cavour. Sono le 10 del 6 ottobre. Premo il tasto dei bollettini ed estraggo il n° 306. Leggo il numero che lampeggia in capo agli sportelli e resto allibito. Siamo al 105. Sono preceduto da 201 malcapitati. Non mi resta che andare all’Equitalia. Pagherò tutto lì, tranne telecom. Percorro i 50 metri che separano i due uffici e con sorpresa non vedo la solita folla che si accalca vociante all’ingresso. Suppongo, anzi spero, che finalmente l’ufficio si sia trasferito in locali più ampi per accogliere all’interno più persone e aprire un terzo o un quarto sportello. Vedo dei foglietti appiccicati alle vetrate. Mi avvicino per leggere e, (orrore), apprendo che l’ufficio è stato messo a soqquadro. Il delitto è stato perpetrato il 28 agosto scorso. Di notte, immagino. Per tutte le operazioni relative al territorio si invitano i contribuenti ad andare o a Napoli o non so dove. Un’organizzazione danarosa come l’equitalia in circa 40 gg. non riattiva l’ufficio locale. Eppure, se la radice del nome è equus, cavallo in latino, come per il termine equitazione,  si sarebbe dovuto correre ai ripari non dico al trotto, ma al galoppo. E’ probabile che il cavallo, razza italia, si sia azzoppato per strada. Da cittadino che paga le tasse,  paziente ed osservante delle leggi, dovrò recarmi nel predetto ufficio postale, trovarmi un cantuccio ed aspettare che i 201 contribuenti che mi precedono da ore arrivino al sospirato sportello. Sicuramente salterò il pranzo.

Cari amministratori, cari perché siete a carico della collettività, non credete che sia il caso di intervenire presso le poste italiane e i cavalieri incaricati delle riscossioni affinché abbia fine questo sconcio? Un intervento deciso, efficace e non la solita letterina, giusto per dare un contentino a coloro che protestano quotidianamente per il disagio di cui sono vittime. Quando il signor Gasparri era ministro delle comunicazioni ricevette una mia lettera in cui lamentavo l’uso disinvolto del tempo dell’utenza da parte delle poste. La mia lettera fu trasmessa dal ministro alle poste italiane che rispose picche asserendo che il numero degli uffici, due ad Arpino e due a Casoria, erano più che sufficienti. In questo caso il ministro o l’ufficio da lui presieduto si comportò da passacarte. Farete come il ministro o darete seguito alla mia protesta che traduce in parole il mugugno dei condannati a estenuanti code? Questi signori dovranno pur dar conto al Comune che servono (malamente)? Le poste non sono gratis e la scuderia Italia percepisce il cosiddetto “aggio”. Tutti sanno che non è facile amministrare una città succube della litigiosità di partiti, partitelli e fazioni. Non vorremmo che foste in tutt’altre faccende affaccendati. Una volta tanto, mettete da parte i personalismi. La città muore. A proposito di morte, cari amministratori, memento mori. 

A Casavatore sì!  A Casoria no?

Legge n° 10 del 9/1/1991. Leggo in un articolo del 24/4/2010 che il Comune di Casavatore ha stipulato un accordo con la BEGHELLI SERVIZI DI CRESPELLANO, in quel di Bologna, aderendo all’iniziativa “Un Mondo di Luce a Costo Zero”. Il progetto prevede, afferma l’articolista, “la sostituzione di tutti gli apparecchi di illuminazione installati presso gli uffici comunali e gli istituti scolastici del territorio, senza investimenti da parte del Comune.” L’accordo della durata di 13 anni consentirà un risparmio del 70% del costo dei consumi. Il sottoscritto agli inizi  del 2008 informava i lettori di Casoriadue ed anche l’autorità comunale della necessità di applicare anche a Casoria come a Torraca (Sa) la legge 10/1991 relativa al risparmio energetico. Giusto per rinfrescare la memoria di alcuni consiglieri immarcescenti ed informare gli avventizi che a Torraca, primo paese al mondo, è stato realizzato un sistema di illuminazione pubblica interamente a LED (luce per l’era digitale). Hanno semplicemente applicato la legge 10/1991 realizzando un progetto che ha permesso all’ente un risparmio energetico (ed economico) del 70%. Giusto per rinfrescare di nuovo la memoria dei consiglieri storici e informare i neo-eletti che una richiesta di finanziamento avanzata nell’agosto del 2007 alla Provincia per un impianto fotovoltaico da sistemare sul terrazzo della sede comunale che ospita l’ufficio anagrafe ha corso il rischio di essere respinta (ma fu poi respinta?) perché mancava la firma dell’energy manager. La mia nota inviata ai Commissari è la 15889 del 24/4/2008. Chissà se qualcuno l’ha letta. Se a qualcuno interessa, posso fotocopiare la nota e dargliela. Potrebbe essere lo spunto per un progetto come quello attuato a Casavatore. Sono tanti i problemi da risolvere in questa città ed invece siamo costretti ad assistere a lunghe diatribe in Consiglio comunale: a chi spetta la Presidenza del Consiglio, a chi la nomina a capogruppo, a quale gruppo consiliare dare due assessori invece di tre, a chi le presidenze delle commissioni. Nella bagarre dei continui passaggi da uno schieramento all’altro e la nascita di nuovi  schieramenti politici (politici, si fa per dire) il sindaco non sa mai con precisione a quanto ammonta la sua oscillante maggioranza. Sembra un topo alle prese con gatti affamati, pronti ad aggredirlo appena si permette di mettere fuori dalla tana il capino. Eppure la legge gli dà facoltà di scegliersi autonomamente i suoi collaboratori. La legge! Di questi tempi! Cos’è? Un oggetto misterioso.

 

          Pazza idea o sogno?

Un tempo, quando Casoria contava 15/20mila abitanti, il paese era circondato da vaste distese di terre coltivate. Le viti si arrampicavano sui pioppi, a festoni, tra un albero e l’altro. I paesi erano   nascosti da campi di grano, mais o canapa e, invisibili tra queste colture, piccoli appezzamenti di fragole e frutteti. Allora si viveva ancora a stretto contatto con la campagna e la natura. La gente, la povera gente, approfittava delle piogge primaverili per far scorta di proteine a spese delle numerose chiocciole che si nutrivano nei campi. Immagini sfocate e lontane che si ripresentano alla mente come in un sogno. Ora siamo 85.000 in 12 kmq. Immaginate di volare. I paesi sono scomparsi, inghiottiti  e soffocati da orrende periferie. Vedrete una megalopoli, un mostro che da piazza Di Vittorio a Capodichino si estende fino a Caivano, da sud a nord, senza soluzione di continuità, con un addome che ingloba numerosi informi agglomerati urbani fino ad Aversa. Una lunga caotica stringa di palazzoni che assediano  antichi centri storici in decadimento, spesso sacrificati ad abbattimenti e ristrutturazioni che non rispettano gli antichi stili ed usi. Vista dall’alto questa lunga teoria di costruzioni è interrotta da verdi macchie circolari  che compaiono a destra ed a sinistra, lungo l’asse mediano. E’ l’unico effetto positivo del terremoto del 1980. Sono le aree di svincolo intercluse. L’idea che sto per esporre mi è venuta osservando un falco che si librava su uno di questi svincoli. Aveva certamente avvistato una preda. Allora, sognando ad occhi aperti, mi son detto: perché non attrezzare questi svincoli per creare mini-nicchie ecologiche? Bruchi, api, formiche, grilli, farfalle ed altri insetti, ramarri, pipistrelli e rondini pullulavano nelle nostre campagne. Ora ci restano solo passeri e merli costretti alla vita di città, inesorabilmente inurbati. L’eco-sistema stravolto dall’avvento dell’era dell’auto e dell’industrializzazione potrebbe essere riprodotto in queste mini-aree che sicuramente attirerebbero diverse specie animali.  Una vasca profonda alcuni centimetri con un gocciolatoio e con un piccolo bordo come posatoio permetterebbe a molti uccelli di abbeverarsi e fare il bagno, ed alle rondini di avere la materia indispensabile per costruirsi i nidi di fango. Una pietraia ed un muro di tufo servirebbero da rifugio per ramarri, gechi e lucertole. Un rudere darebbe riparo a rapaci notturni come gufi e civette che si nutrono di topi ed arvicole. Cespugli ed essenze arboree darebbero frutti, semi e bacche in periodi diversi dell’anno. Si potrebbe installare anche un osservatorio mimetizzato per le scolaresche che limitano la loro conoscenza faunistica a mucche, agnelli, galli, tacchini e galline-faraone sotto forma di bistecche, stufati con patate e brodi. Scegliere una o due aree adatte per un progetto-pilota da affidare all’Università, all’Orto Botanico, al WWF o altro Ente dove lavorano esperti etologi è il primo passo verso la sua realizzazione. Il Comune ed un pool di aziende potrebbero sponsorizzare il progetto che avrà certamente dei costi sia per la sua attuazione che per la gestione.  I bio-svincoli o eco-svincoli, che dir si voglia, mirano a ricreare un rapporto positivo degli abitanti con la natura nel tentativo di recuperare, almeno in parte, pezzi dell’ambiente che caratterizzava il nostro territorio prima dell’avvento dell’era petrolifera e cementiera. Squilla il telefono. Il sogno svanisce. Resta solo la pazza idea.     

                                   Navarra Giuseppe

NON SOLO GAZA:  IL   COLTAN

Oltre al conflitto tra Hamas ed Israele che miete vittime tra combattenti e civili intrappolati, ne esistono altri  trascurati dai media. Ormai si passa con disinvoltura da un eccidio all’altro, da una strage all’altra, evitando di evidenziare le cause primarie che hanno dato origine agli scontri.

Tranne gli addetti ai lavori, sono in pochi a conoscere il coltan. E’ il termine che i congolesi hanno coniato per indicare la columbite-tantalite. Si tratta di un materiale di colore nerastro, leggermente radioattivo, composto da due minerali il niobio o columbo (in bassa percentuale) e il tantalio (in alta percentuale). Dal momento in cui è esplosa la domanda di cellulari, computer, videogames ed altri aggeggi elettronici, il valore del tantalio è salito alle stelle. Di fatto si tratta di un elemento indispensabile per la telefonia mobile in quanto permette la costruzione di microcondensatori capaci di economizzare l’energia nei chips. E’ usato anche nelle apparecchiature sanitarie perché non reagisce con i fluidi corporei. E’ alla fine degli anni ’90 del secolo scorso che si è scoperta la presenza di ingenti quantitativi di coltan nel Kivu, la provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Ex-possedimento personale del re del Belgio Leopoldo I, divenuto poi ex-Congo belga ed infine ex-Zaire, l’attuale RDC è un campo di battaglia tra i ribelli del Gruppo Congolese per la Democrazia che controlla il Kivu spalleggiato dagli alleati ruandesi ed ugandesi e le forze del governo di Kinshasa. Il Kivu, ricco di oro, diamanti  rame, oltre che di tantalio è dunque appetito da tutte le forze in campo. Nonostante l’intervento dell’ONU, non si riesce a trovare una soluzione pacifica al conflitto. Il problema del Congo e del tantalio conteso,  venduto illegalmente alle potenze interessate (le solite), è salito alla ribalta mondiale quando ha avuto inizio la campagna mondiale: ”Niente Sangue sul mio Cellulare”. Infatti buona parte dei proventi di questo commercio, alimentato dallo sfruttamento incontrollato delle miniere a cielo aperto di coltan,  smaltito attraverso il Ruanda, va alle milizie che si fronteggiano. Il ricavato della vendita di coltan serve per mantenere i soldati degli opposti schieramenti e per acquistare armi di ogni tipo. Lo scontro tra le etnie Hutu e Tutsi è finito nel dimenticatoio e con esso anche il Congo e la guerra civile che l’insanguina dal 1998.

Tuttavia, noi occidentali, volenti o nolenti, siamo corresponsabili di quanto accade in quel lontano paese. I cosiddetti paesi più avanzati hanno fame di tantalio e l’acquistano naturalmente in modo massiccio non dal Brasile o dall’Australia, nazioni che controllano l’esportazione e la regolarità delle transazioni commerciali, ma dai ribelli del Raggruppamento Congolese per la Democrazia. Il Congo si dissangua. La ricchezza del paese, tantalio, diamanti, rame, oro, scivola di soppiatto nelle tasche dei trafficanti d’armi e delle nazioni che li riforniscono. I contadini lasciano le terre per diventare minatori improvvisati e cercare in proprio il coltan per rivenderlo ai mediatori stranieri. Si sta verificando nel Congo lo stesso esodo dalle campagne che vide protagonisti i contadini inglesi della seconda metà dell’ottocento, all’epoca della Rivoluzione Industriale. Gli Inglesi da contadini, allevatori e tessitori divennero operai per necessità. Questa massa di minatori si ciba uccidendo la fauna selvatica: elefanti, gazzelle, gorilla. La distruzione del loro habitat sconvolge l’ecosistema preesistente. Quando entro in un ipermercato specializzato in apparecchiature elettroniche sono frastornato da centinaia di immagini di ragazze in abiti succinti, grandi fratelli ed amici vari, calciatori e affabulatori di ogni tipo che si alternano sugli schermi televisivi. Camminando tra le vetrine che espongono cellulari di ogni forma, colore, dimensione e funzioni, e osservando computer sempre più sofisticati provo un senso di smarrimento. Non posso fare a meno di volgere il mio pensiero ai minatori congolesi che con picconi e zappe scavano la superficie del Kivu per estrarne il coltan, il minerale che permette a molte multinazionali di produrre questi gioielli della tecnica ed al conflitto in atto in quel paese. Mi viene anche in mente lo slogan “Niente Sangue sul mio Cellulare”.  Provo a spegnerlo.

                                                             Navarra Giuseppe

 ALBERI E CARTELLONI PUBBLICITARI

 

Scompare la campagna, arriva la città, evviva la pubblicità! Potrebbe essere lo slogan che ha caratterizzato i tempi post-bellici. Mentre l’ufficio ambiente con l’approvazione del regolamento “verde pubblico e privato” (del. cons. n° 61/2009) intende promuovere la protezione del verde casoriano e incentivare le attività agro-ambientali, un altro ufficio lamenta che gli alberi rendono poco visibili i cartelloni pubblicitari che arredano molte delle nostre strade. Potare! Potare! Potare! Meglio tagliare! Gli alberi, naturalmente. Civiltà e tecnologia cambiano il paesaggio. Pioppi, olmi, viti, ciliegi, campi di grano e di canapa hanno lasciato il posto ad antenne paraboliche, ripetitori che svettano dalle terrazze, rettangoli smisurati che ti ricordano che Tizio offre freezer d’avanguardia, Caio auto ecologiche a costo zero ecc. I campi sono scomparsi sotto il cemento. Il cielo scompare dietro i cartelloni pubblicitari. Quel che colpisce è la loro dimensione e distanza dal suolo. I loro angoli taglienti possono colpire distratti passanti. Specie se alti più di m 1,90. A che distanza da terra devono essere installati? Potremmo intitolare a Renato Brunetta le strade  in cui compaiono cartelloni a bassa quota: Via Brunetta 1, Brunetta 2, e così via. Chi transita e non ha l’altezza giusta stia attento! Comunque un beneficio questi benedetti cartelloni lo danno. Installati senza soluzione di continuità lungo la circonvallazione fungono da insonorizzatori.

Ma passiamo alle attività agro-ambientali. Non so cosa si intenda per agro in questa città. Se l’etimo è il latino ager, dobbiamo intendere campo coltivato o campagna in contrapposizione  alla città oppure genericamente territorio. Qui di agro c’è rimasto solo il limone. Allora salviamo il salvabile ed individuiamo quel poco di territorio che resta ancora libero dal cemento. Tanto tempo fa, nella notte dei tempi, Cittadinanzattiva sollecitò Italia Lavoro ad inviare le attrezzature ludiche per arredare tre siti come da del. giuntale del 2005: Via Cimarosa, Via Garibaldi e Via Bissolati. Poi  il Comune fu sollecitato a rendere agibili questi tre minispazi ludici. Le attrezzature arrivarono  per Via Cimarosa. ma senza la certificazione a norma. Con tutta calma il Comune rese agibile solo lo spazio in Via Cimarosa con lavori di recinzione ed altro. E’ trascorso qualche anno. Non è mai entrato nella disponibilità del quartiere. Lo spazio ludico (poiché è recintato) deve avere tre bagni, (maschi, femmine e diversamente abili). Occorre predisporre il  collegamento con la fogna. Gli scivoli, le altalene ecc. devono avere la certificazione a norma. Ci sono i soldi per fogna, bagni ed attrezzature a norma?  A quando l’inaugurazione? Ai posteri l’ardua risposta!

Nella premessa si legge anche che è intendimento del Comune “favorire lo sviluppo della flora autoctona mediterranea  e della fauna selvatica.” Grazie all’uso di diserbanti, concimi chimici e cemento sono scomparsi  “fetienti e rovi”, corbezzoli e sorbi, chiocciole e talpe, api, formiche e lucertole. Restano cani randagi, qualche merlo inurbato, sparuti e spauriti passeri, colombi malandati. Abbondano, però i ratti. Le attività agro-ambientali sono ridotte al lumicino e di questo dobbiamo ringraziare le distratte e disattente amministrazioni che male hanno tutelato il territorio. Mi permetto di suggerire l’utilizzo degli ampi spazi interclusi degli svincoli autostradali per creare un habitat che ricordi quello antico.  C’è un mio utopico sogno comunicato tempo fa all’ufficio ambiente relativo al ripristino dell’antico habitat in questi spazi. E’ mio dovere tentare di sensibilizzare chi sta nella stanza dei bottoni. Non mi resta che concludere complimentandomi con chi ha deciso di sostituire i pini che hanno dissestato asfalto e marciapiedi in Via Marconi. Era ora! Al loro posto ci sono gli aceri che radicano in profondità e non in superficie. A quando la copertura ed il ripristino dei marciapiedi?  Non con i costosi e instabili sampietrini, si spera.

      Giuseppe Navarra 

TRASPARENZA, EFFICIENZA, EFFICACIA

 

Trasparenza, Efficienza ed Efficacia sono termini inflazionati. Sono tre concetti di cui sono infarciti i discorsi ed i programmi dei politici. E’ noto che l’uso eccessivo di alcuni termini è usurante e nel tempo si finisce col perdere di vista il vero significato delle stesse. Ne è una riprova il lemma REPUBBLICA, che originariamente significava cosa pubblica, ma che ora spesso viene scambiato per cosa privata o peggio cosa nostra, cioè di chi soggiorna nelle stanze dei bottoni, di chi decide come dobbiamo vivere e di cosa vivere. La parola chiara e precisa nel suo significato originario è paragonabile ad un pantalone nuovo di zecca che dopo essere stato indossato a lungo si deforma, si logora, si scolora e diventa irriconoscibile. Efficienza ed efficacia hanno seguito la sorte del pantalone. Allora è bene richiamare alla mente i concetti del titolo: partirei da efficienza. Chi amministra la cosa pubblica ha il compito precipuo di organizzare un servizio tenendo presente funzionalità, costo e beneficio. Cioè attuare il servizio nel migliore dei modi possibili affinché  non risulti eccessivamente oneroso per il contribuente e risulti efficace. Per efficacia si intende il beneficio che l’utenza ne ricava. Esempi negativi del rapporto costi-benefici o efficienza-efficacia ce ne sono a iosa. Due banali per tutti: un cittadino scrive ad un ente per segnalare un problema. Colui che riceve la segnalazione non provvede. Il dipendente inefficiente o supponente ha reso inefficace la segnalazione, sia essa di interesse privato o di interesse pubblico. La mancata risposta rivela un servizio inefficiente, ha un costo, (il dipendente comunque è pagato), a fronte di un utente che non riceve alcun beneficio, fosse anche di una risposta. Se si vuol sapere  dal Sindaco o dall’ASL di competenza se sia stata istituita l’anagrafe canina come da Ordinanza del sottosegretario alla Salute Francesca Martini, l’Ente preposto ha il dovere di provvedere, se non lo ha già fatto, e di darne notizia alla cittadinanza. Il servizio, se istituito in maniera efficiente, avrà un costo, ma i benefici saranno sotto il naso di tutti perché i possessori di cani sanno che potranno essere individuati grazie al microchip e sanzionati se permetteranno ai loro quadrupedi di lordare le strade.

Trasparenza o casa di vetro Altro termine abusato. La casa comune deve avere i vetri sempre tersi per permettere alla luce di passare e di vedere quello che succede all’interno. Tutti parlano del consigliere XY eletto nelle liste AZ o dell’assessore Pincopallino scelto tra molteplici candidati. Chi è costui? E’ stata pubblicata o internettata la sua dichiarazione dei redditi? E’ risultato sempre presente ai consigli o in giunta? Qual è la sua retribuzione? Cosa ha prodotto nel corso della consigliatura? Ha presentato mozioni, interpellanze, interrogazioni, ordini del giorno? Ha fatto proposte di modifiche dello Statuto? Perché non pubblicizzare i bilanci delle società controllate dal Comune o partecipate? Perché non creare un albo pretorio telematico accessibile a tutti? Qualche Consiglio Comunale campano ha deliberato in questo senso.  Internet serve anche a questo.                                             

Giuseppe Navarra

 

  Il tram è ripartito

Ero sicuro che il trolley sarebbe stato riagganciato ai fili della corrente. Il tram fermo in Piazza Di Vittorio riprenderà la sua corsa verso il capolinea. Il manovratore alla guida dell’ansimante tram sospinto dall’esausto motore elettrico Tecnomasio Brown Boveri, ha messo la “manovella” in posizione di partenza. Arriverà al traguardo? Ci saranno altri black out elettrici? Ci saranno altri imprevisti o imprevedibili saliscendi? I cinque contestatori, di cui alcuni avevano preso il tram in corsa, hanno presentato sette punti programmatici su cui chiedono chiarezza. Hanno avuto le risposte che attendevano? Se il tram è ripartito la risposta è stata certamente positiva, se non per tutti almeno per alcuni. Non sappiamo se il precedente personale viaggiante sia stato riconfermato in tutto o in parte. Tre bigliettai per ognuna delle tre carrozze basteranno. Ora sono 10, capoconvoglio incluso. L’aumento del personale assicurerà un servizio perfetto. Magari i cinque che chiedevano anche la testa del capoconvoglio saranno stati accontentati e ne avranno uno nuovo di zecca e per di più navigato. I Consigli Comunali somigliano sempre più spesso ad un parlamento di uccelli. Ci vuole un traduttore simultaneo. Le rondini garriscono, le oche starnazzano, i pulcini pigolano, i passeri cinguettano, le cornacchie gracchiano, i merli fischiano. Sono tanti gli uccelli. Circa 30. Molti di specie diversa. Hanno linguaggi diversi. Quando intervengono con i loro versi, comunicano solo con quelli della loro specie. E’ una babele. Sarebbe bene che al parlamento degli uccelli partecipassero tutti uccelli della stessa specie come per la Commissione Straordinaria composta  solo da tre membri. Tre aquile. Fiere, apparentemente operose. Ho sperimentato personalmente l’efficienza dei tre rapaci nei due anni e più della loro permanenza al Comune. Una delusione. Perciò qualsiasi amministrazione civica non potrà mai essere peggiore di un commissariamento. L’esperienza ci insegna che tra due mali si sceglie il minore. Ma veniamo ai punti programmatici: al punto 4 c’è il CPR 3. Non si tratta della sigla militare “camera della prigione di rigore” numero 3; è invece la sigla del consorzio che ha realizzato il complesso residenziale della 219 ad Arpino e con il quale il Comune ha un contenzioso di svariati milioni di euro. Cosa si contesta? Se c’è o non c’è la firma sulla transazione e la scarsa informazione ai consiglieri? Il tipo di soluzione? Al punto 2 c’è il problema del PUC, vitale per il recupero ed il riordino del territorio. I 5 associati hanno fatto proposte da inserire nel PUC? Lamentano il ritardo nell’esame delle osservazioni dei cittadini e la mancata approvazione dello stesso? Lo dicano alla gente in chiare lettere, non in politichese. Gli altri 5 punti, un po’ deboli per la verità, hanno valore tattico. Ma la domanda che si pone l’uomo della strada è: nel Consiglio Comunale del 15 u.s. sono stati discussi  questi due punti focali del dissenso? Quale la conclusione? Ditecelo! Concludo con un’invocazione: Per amor di Dio, evitiamo la malaugurata discesa dei burocrati. Lasciamo le aquile nei loro nidi! Se proprio non trovate l’accordo dimettetevi in tempo utile in modo da limitare la presenza al Comune di lorsignori per un mese al massimo.

G. Navarra

  Equitaliapolis Iniquitaliapolis?

   Napoli nord. Quanti sono gli abitanti di questa zona? Proviamo a contare le città, o ex paesi, che vi gravitano. Casoria, Afragola, Arzano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Crispano, Casavatore, Caivano, Grumo Nevano. Li ho elencati tutti? Proviamo a contarne gli abitanti. Solo Casoria ne ha 80.000. A quanto ammontano gli altri? A occhio e croce saranno 270.000, come risulta da Internet. Sommando gli 80.000 di Casoria si raggiunge la bella cifra di 350.000 abitanti sparsi su un territorio abbastanza vasto. Un bacino di utenza enorme.Quanti saranno i titolari di cartelle esattoriali tarsu, ici, multe non pagate, Agenzia delle Entrate, Inps, ecc. ecc. che si servono dell’ufficio di Casoria? Questo ce lo dovrebbe dire il gestore. Ma possiamo farcene un’idea osservando la folla che sosta dalle prime ore del mattino davanti all’ufficio. Avete provato a raggiungere lo sportello informazioni ubicato nella dissestata ed impraticabile Via Cavour? La guardia giurata con gentilezza vi dà un numeretto e vi dice di rispettare la fila. Ma quale fila? La calca! Tempo fa un vecchietto sostava davanti all’ufficio fin dalle prime ore del mattino e consegnava, in cambio di un obolo, un numero scribacchiato su un pezzo di carta. Era l’attestato di precedenza assoluta. Qualcuno borbottava, ma accettava la consuetudine. L’ufficio si presenta come un corridoio su cui si affacciano tre sportelli di cui due funzionanti. Il terzo è per le informazioni. L’ambiente non può accogliere più di una decina di persone per cui si entra a gruppetti. Gli altri restano fuori. “Anche se piove?” “E chi se ne importa!” “ Anche se fa freddo?” “E chi se ne frega!” “Anche se c’è il solleone?” “Non è un problema del gestore che probabilmente è in possesso di una convenzione di ferro.” Nel frattempo chi sta fuori da ore, per la maggior parte gente attempata, è esposta a bronchiti, raffreddori ed insolazioni. Nessuno li difende. Bisognerebbe ricordare ai firmatari della convenzione che l’Ispettorato della Funzione Pubblica in una propria nota datata 18/06/2002 affronta il problema delle “code” davanti agli sportelli degli uffici pubblici. In detta nota si parla della massima utilizzazione delle risorse (efficienza) nel rispetto delle esigenze dell’utenza (efficacia). In parole povere chi progetta un sistema di sportello non deve mirare solo a minimizzare i costi ma contemporaneamente curare la soddisfazione dell’utenza. Quindi, in occasione delle crisi cicliche (scadenza tarsu, Ici e via dicendo) è necessario attrezzarsi per fronteggiare il maggior afflusso agli sportelli. Come? Aprendo l’ufficio anche di pomeriggio o aprendo più sportelli. Efficienza ed efficacia sono due concetti che vanno a braccetto.     

Giuseppe Navarra

 

                       A.A.A. Cercasi “fossa”

 

I recenti manifesti affissi dal consorzio cimiteriale fanno tristezza. Per reperire “fosse” disponibili per altri inquilini bisogna sfrattare gli attuali occupanti che, essendo morti, non hanno più voce in capitolo. Il contratto decennale può diventare quinquennale. Anche il cimitero è sovraffollato come le carceri. Allora si mettono le pezze come ai calzoni. Se nel quinquennio il cadavere esumato non è mineralizzato a dovere lo si inùma di nuovo o lo si tumula  ammesso che nel frattempo gli afflitti parenti abbiano trovato un loculo libero. A proposito di loculi liberi, ce ne sono sul mercato mortuario? In caso positivo si potrebbe aprire un’agenzia immobiliare: “A.A.A. Loculo libero nella cappella di San Salvatore. Euro 100 a mm quadro. Vendita disponibile anche a cm cubo. A.A.A. Loculo in quinta fila, bella vista, lungo il viale d’accesso, spazioso. Accesso facile con scala mobile, nel senso che è munita di ruote, non traballante, prezzo da concordare. A.A.A. In offerta loculo biposto livello strada. E’ un’occasione.” Da alcuni anni i casoriani defunti che non hanno provveduto in vita ad acquistare una “nicchia” emigrano, chi ad Afragola, chi a Caivano chi altrove per mancanza di fossa o loculo nel luogo di residenza. Qualcuno, possessore di una seconda casa al mare o in montagna, ha trasferito per tempo la propria residenza in queste località dove sarà traslata la sua salma . Si sa che quando  la domanda  supera l’offerta i prezzi lievitano. Così “mors mea, pecunia tua”. Oggi per morire serve un capitale tra spese di trasporto e acquisto loculo. Per risparmiare un mio conoscente si è trasferito a Sorrento, dove una ditta di cui non ricordo il nome, nel 2008 offriva il trasporto all’estrema dimora per 750,00 euro più spese amministrative. Un vero affare.  Da sempre morire lascia tracce dolorose nell’animo e nelle tasche di chi resta. Mio nonno, buonanima, abbandonò questa valle di speculatori nel 1957 ma  comprò per tempo un loculo  lasciando una congrua somma per le spese funebri. Ma allora ai “tre cancelli” si andava in carrozza trainata da 4 o 6 cavalli “impennacchiati”, o trasportati a spalla,  non in mercedes. O tempora, o mores. I tempora sono cambiati e i mores sono peggiorati. E’ tempo di costruire un nuovo cimitero! Sono anni che se ne chiacchiera.

Un mio coetaneo si augura di essere tumulato nel cimitero nuovo. Il furbone sa bene che tra acquisto del suolo, stesura del progetto preliminare, approvazione del progetto esecutivo, gara di appalto, ricorsi degli esclusi per presunte irregolarità nell’assegnazione  e realizzazione dell’opera  ha tutto il tempo di diventare centenario.

Disperando che costi di trasporto e di loculi calino, mi sento di dare un consiglio ai miei concittadini: comprate un salvadanaio infrangibile, disegnateci sopra un teschio, ed ogni mattina introducete 50 centesimi nella fessura. Se siete tanto fortunati da vivere a lungo non sarete di peso a nessuno tranne che ai necrofori. 

Giuseppe Navarra

 Il tram si è fermato

Come previsto a Giuseppe Di Vittorio, ossia alla rotonda di Capodichino il tram si è fermato. Cinque di quelli che l’avevano aiutato a partire da piazza Cirillo, sono scesi. Il manovratore minaccia di andarsene e prima di prendere la decisione definitiva si prende una pausa di riflessione. Venti giorni. E’ la  solita partita a poker in cui c’è sempre qualcuno che bluffa? Oppure i cinque credono di avere in mano la combinazione che fa vincere il piatto? Non c’è nessuno che fa cip? Il piatto piange e nel piatto ci sono i soldi della collettività. Ho un’età in cui le illusioni cadono col passar degli anni. Avevo capito da lungo tempo che in politica non contano le idee, le buone intenzioni, lo spirito di servizio. La politica, quella italiana in particolare, si risolve sempre in un rapporto di forza non solo tra maggioranza ed opposizione ma anche all’interno delle stesse coalizioni. I programmi e gli impegni presi con gli elettori passano in seconda linea. Anzi sono  spesso il pretesto per giustificare salti quagliferi, ribellioni o per chiedere più potere in nome del popolo. I cinque rappresentano quasi il 30% della raffazzonata maggioranza. Spettano loro 3 assessori su 10. E poiché sono determinanti, anche uno 0,5 in più, se del caso. Il conto è semplice.   Il risultato è la paralisi amministrativa. Si credeva che con la riforma dell’elezione diretta del sindaco, potendosi egli scegliere in tutta libertà i suoi collaboratori, si sarebbero evitate le frequenti ed endemiche crisi del passato in cui i reucci vivevano l’espace d’un matin. Quelli che erano e sono i collaboratori del manovratore di turno salgono e scendono a piacimento dal tram come sempre, lasciando in panne non solo il tram ma anche i viaggiatori. Nel frattempo Via Boccaccio, Via Giolitti, Via Etna con gli svincoli sulla bretella Arzano-Frattamaggiore, la consegna al Comune dei suoli espropriati dall’IACP 30 anni fa, la messa in opera di spazi ludici in Via Cimarosa, Via Garibaldi e Via Bissolati, l’acquisto dell’area demaniale in via Boccaccio di circa 35.000 mq da sottrarre all’ennesima colata di cemento, il PRU, le due isole ecologiche, la scuola San Mauro, i provvedimenti da prendere da parte del Comune in vista della costruzione dell’asse di collegamento tra l’aeroporto con le autostrade, varco di Via Piccirillo, i tronchi morti che dovevano collegare Via Calvanese con Via Petrarca, la delocalizzazione degli impianti carburanti costruiti su suolo pubblico, URP, INTRANET, trasferimento del poliambulatorio e chi più ne ha più ne metta, possono aspettare. Non è vero che anche se cambia il direttore la musica è sempre la stessa. E’ vero invece che  i  direttori si ritrovano sempre con la stessa l’orchestra.

Giuseppe Navarra

I puzzoni

 

  Il 2 dic. 2009 Riccardo Staglianò nel suo blog riporta una relazione dell’Ispettorato Immigrazione al Congresso USA del 1912. Il titolo del pezzo è: “Quando i puzzoni eravamo noi”. Alcuni passi sembra siano stati scritti nel 2009. Vale la pena di riportarli per intero.

“Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano  anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina, ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono molto uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché sono poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne ritornano dal lavoro”. Non è difficile, in questo passo, identificare  i meridionali di arboriana memoria “ nuie simme do’ sud, nuie simme curte e nire”. Ma quelli del nord non sono trattati meglio. Leggete questa chicca: “ I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare fra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura di attività criminali, Propongo che si privilegino i veneti ed i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purché le famiglie rimangano unite, e non contestano i salari.”

Ci sono pochi commenti da fare. Sono propenso a pensare che il noto europarlamentare leghista Salvini si sia ispirato alla prima parte dei questa relazione prima di recarsi all’osteria con i suoi amici ad intonare la famosa canzone.  Se l’avesse letta fino in fondo………

La Biblioteca Comunale invasa dalle acque piovane

 

   Il 7 febbraio del 2008 il collega Antonio Botta, sul settimanale “Casoria Due”, richiamava l’attenzione dei lettori e degli amministratori del tempo sulla necessità di dotare al più presto la città di una biblioteca comunale. Come cittadino attivo, in diverse occasioni, avevo stimolato l’amministrazione affinché provvedesse al più presto a realizzare la biblioteca. Finalmente, dopo ripetuti solleciti il 5/3/2008 (Scafuto regnante) fu firmata la determina n° 58 con cui si bandiva l’appalto dell’arredamento della biblioteca per euro 60.768,00, IVA compresa. E’ fatta, pensai! Ora  il responsabile del procedimento amministrativo  porterà a termine il suo compito, sarà individuato il personale con la qualifica di bibliotecario, ecc. ecc. Pia illusione! A scorno di chi ci ha amministrato fino al 2008 va detto che la storia della biblioteca ha inizio nel 1999 (approvazione del progetto esecutivo dei lavori, determina n° 8). Bisognerà aspettare il 2004 per il bando di gara per la sistemazione dei locali in Via A. Moro. Siamo nel 2009. La biblioteca resta chiusa. Sicuramente arriveremo al 2010! Undici anni! E pensare che un certo Angelo Carasale, appaltatore, costruì su incarico di Carlo III, il primo dei vituperati Borboni, il teatro San Carlo in  sette mesi. Sette mesi esatti. “La costruzione, principiata agli 11 di marzo, terminò ai 28 d’ottobre del 1737” (S. Di Giacomo –il teatro e le cronache –A. Mondadori 1965, pag. 419). E senza betoniere!

Ci sono molti nostalgici che amerebbero trascorrere qualche ora seduti ad un tavolo di biblioteca a leggere un libro invece che stare incollati ad un monitor movendo il topo su e giù. Il libro invita alla meditazione. Un esercizio a cui la tv ci ha disabituati. La nostra biblioteca, mai entrata in esercizio, già fa acqua. Se fosse stata aperta al pubblico ci si sarebbe accorti della perdita d’acqua dal soffitto e si sarebbe provveduto per tempo senza che l’acqua inondasse il parquet sollevandolo in più punti. Colpa del canale di raccolta dell’acqua piovana ostruito. Colpa di chi non ha vigilato. Il Comune dovrà tirare fuori altri soldini, i nostri, per ripristinare dei locali che aveva già ripristinato. Mio nonno, uomo saggio all’antica, usava dire in dialetto: “Chi fraveca e sfraveca nun perde mai tiempe.”

               ELEZIONI EUROPEE 2009 - Il diritto al voto è sacrosanto

Può capitare che il giorno prima dell’elezione un elettore abbia la disgrazia di slogarsi una caviglia    e di non poter salire le scale per recarsi nel seggio elettorale situato al 1° piano perché non è in grado di salire i 25 gradini della rampa. Può capitare che un infartuato non voglia rischiare una pericolosa tachicardia. Può capitare che qualche vegliardo non ce la faccia ad affrontare la salita. Cosa succede? Deve rinunciare a votare! Questa è la cruda realtà. L’opuscolo distribuito ai presidenti dei seggi con le norme non prevede questi casi. Nemmeno coloro che sono preposti all’organizzazione dei seggi li hanno previsti e non hanno, perciò, allestito in alcune sedi dei seggi a pianterreno. Parenti ed amici hanno aiutato i vecchietti sorreggendoli, qualcun altro è stato portato a braccia. La Legge Elettorale non ammette che il presidente accompagnato da uno scrutinatore e da un carabiniere si rechi al pianterreno con le debite schede per far votare il disgraziato (nel senso di colpito da disgrazia). Chi lo fa commette reato. Gli addetti possono scendere solo se il malcapitato è munito di una certificazione ASL e bla,bla,bla. Un caparbio elettore menomato si reca allora all’ufficio elettorale nella speranza di avere maggiori lumi. “Si, è vero,” gli dice il funzionario di turno. “E’ l’ASL incaricata delle certificazioni. Veda all’ASL.” “E’ domenica,” obietta il claudicante, “ci trovo qualcuno?”  “Ma certo!” è la risposta.  Il temporaneo azzoppato  si fa accompagnare all’ASL. I due medici in servizio  l’accolgono cordiali  ma il loro viso esprime titubanza e curiosità. Alla richiesta del malcapitato di avere la certificazione della sua difficoltà a scalare l’edificio, i due sorridono e chiedono: “Lei è cieco?”  “No” risponde lo zoppo, “ci vedo benissimo!”  “Lei possiede entrambe le mani?” Adesso è il mancato elettore a fissare sorpreso i due professionisti. Senza parlare mostra prima la mano destra e poi la sinistra. “Bene,” replica uno dei dottori: “Noi siamo qui solo per certificare queste due menomazioni e permettere  il voto assistito. Non ve lo hanno detto all’ufficio elettorale? Quando siete caduto dovevate venire all’ASL, chiedere una visita ortopedica e richiedere la certificazione relativa da esibire al presidente del seggio”. Sconsolato l’infortunato fa un cenno di diniego e si avvia all’uscita saltellando al braccio del suo accompagnatore. Chissà se affronterà i 25 gradini che lo separano dal suo seggio. C’è una vacatio legis?” Non lo crediamo.  La legge non dice di allestire seggi al pianterreno o al primo piano, ma conta sulla competenza e sul buon senso degli addetti ai lavori. Sarebbe interessante conoscere il numero di quelli che hanno rinunciato a votare per quei maledetti 25 gradini!

Gli Stercorari e le Api ovvero: Perché le api sciamano?

 

Una volta, tanto tempo fa, agli albori dell’umanità, le api, insetti operosi ed innocui se non vengono disturbati nelle loro attività, alla morte della loro regina, usavano trasportare la salma in spalla fuori dall’alveare. Era tradizione.

Un brutto giorno, in un alveare situato in cima ad una vecchia quercia, ci fu un decesso. L’Ape Regina nell’esercizio delle sue funzioni, (deporre a più non posso uova fecondate), era deceduta. Le suddite  svolazzavano per l’alveare  esprimendo il loro dolore  con un  ronzio discontinuo simile ad un singulto. Le bottinatrici e le api-guardiane, venendo meno alla tradizione, decisero di onorare la loro regina con un bel (si fa per dire) funerale. Ma a chi rivolgersi in mancanza di un servizio funebre gestito in proprio?

Toccandosi e ritoccandosi con le antenne, (è uno dei loro modi di comunicare), il Consiglio delle Anziane stabilì di spedire in volo   una schiera di operaie alla ricerca di qualche insetto specializzato in trasporti funebri. Dopo aver volato in lungo ed in largo, di cespuglio in cespuglio, le operaie tornarono all’alveare e, con una complicata danza, informarono le altre di aver avvistato nei pressi di una spiaggia degli insetti, tutti neri, che trasportavano con le zampe delle palline di escrementi di grosse dimensioni. Erano, quindi, insetti specializzati nei trasporti. Questi insetti, chiamati stercorari o stercofori, interpellati, avevano accettato di fare il servizio funebre in cambio di una ricompensa. Le api naturalmente offrirono il frutto delle loro fatiche, cioè il miele. Gli stercofori però, essendo diabetici per costituzione, rifiutarono. Le api, costernate, si riunirono di nuovo e, non avendo altro, offrirono delle larve nate dalle uova deposte dalla regina. Gli stercofori, assaggiatene alcune, le trovarono di loro gradimento ed accettarono l’incarico.

   Fu così che ad ogni decesso regale gli stercofori venivano incaricati della funzione funebre. Si sa che l’appetito vien mangiando e col passar del tempo gli stercofori chiesero alle api una maggior quantità di larve. Cosa fare, si chiesero le api? Cedere alle esose richieste e  svuotare ulteriormente la nursery? Fu  riconvocato, allora, il Consiglio delle Anziane che, dopo i soliti tocchi e ritocchi propose di rivolgersi a qualcun altro per i funerali regali.

   Dopo ampie discussioni, cioè, toccamenti,  nell’assemblea delle api vibrarono perentorie le antenne  di un’ape guardiana che suggerì di rivolgersi per il rito funebre a dei lontani parenti: le vespe.  Ci fu un agitar di antenne di approvazione e subito alcune operaie si recarono ad un vicino vespaio per proporre loro di incaricarsi del trasporto della futura salma regale, offrendo però un quarto delle larve che pretendevano gli stercofori.

   Le vespe che di solito nutrivano i loro piccoli solo  con grilli, farfalle ed altri insetti, accettarono di buon grado di fare il servizio funebre in cambio delle succose larve.

  Quando gli stercofori che si erano abituati ai lauti banchetti larvali seppero della sleale concorrenza, montarono su tutte le furie e attaccarono violentemente le vespe che, poverine nulla poterono contro la dura chitina che rivestiva gli insetti nemici come una corazza. I loro pungiglioni si  spezzavano ed esse dovettero suonare la ritirata lasciando sul terreno decine di vespe senza vita.

   Le api, insetti sociali intelligenti, volitivi e determinati volevano tornare alla tradizione: trasportare a spalla le regine defunte fuori dall’alveare. Ma l’assemblea agitò in modo negativo le proprie antenne. I tempi erano mutati. C’era il pericolo di esporsi alla vendetta degli stercofori contro cui neppure i loro pungiglioni sarebbero stati efficaci. A questo punto il Consiglio delle Anziane, seppur tentennando, propose di lasciar la salma della regina defunta in loco e di andar via con la nuova Regina.

La proposta fu accettata all’unanimità delle presenti. Questo è uno dei due  motivi per cui  le api sciamano via ed abbandonano il vecchio alveare. L’altro motivo è il sovraffollamento dell’alveare.  

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